Junge liest ein Buch und schaut Mädchen mit orangem Ball an.

Vivere con l’ignoto

«Mi chiamo Anna*, ma sono un maschietto». Così si presentava alle compagne e ai compagni di scuola, sapendo con certezza di non essere una femmina. Per la madre Cornelia*, cliente della CONCORDIA, una grande incognita. Aveva dato alla luce Anna, oggi cresce da sola Giovanni*.

Vita da transgender: l’illustrazione rappresenta una bambina seduta di fronte a uno specchio. La sua immagine riflessa restituisce però il volto di un ragazzo. Già all’asilo Anna rifiutava gli abiti da bambina e il colore rosa. Detestava tutto ciò che anche solo lontanamente fosse associabile all’universo femminile. Andare a fare shopping era una discussione continua, anche quando gli abiti da acquistare erano per la sorellina. Nel reparto bambine si sentiva sempre come un pesce fuor d’acqua. Così un giorno la madre affronta il tema con il pediatra, che tuttavia valuta l’atteggiamento come una «fase». Una fase però, destinata a non concludersi. Trascorsi altri quattro anni Cornelia, stanca di aspettare, decide che sua figlia ha diritto di essere come si sente, maschio o femmina che sia. La commedia è finita.

Dentro maschio, fuori femmina

A scuola, sulle prime, gli insegnanti non sapevano come reagire. Durante gli allenamenti di calcio, tra i coetanei, cominciavano a circolare le prime battute e osservazioni: «Le bambine non giocano a calcio, vattene via...», gli dicevano. Cornelia ricorda: «Giovanni si sentiva profondamente ferito, tanto più che era convinto di non essere una femmina. Ai suoi occhi una cosa normale, ma per me all’inizio difficile da accettare. Poi ho capito che non riusciva a essere se stesso, che stava male. Come prima misura gli dissi allora che a casa poteva essere un maschio. Fuori però, se non desiderava affrontare la questione apertamente, doveva continuare a essere una bambina».

Col tempo il desiderio di vivere la sua identità sessuale anche al di fuori della sfera famigliare è diventato impellente. Ha cominciato a parlarne sempre più di frequente, rendendo pubblico il fatto di non essere una bambina. Era giunto il momento per un altro, profondo, cambiamento. «Un giorno mi ha chiesto di cambiare nome, perché Anna non era più adatto, e ha scelto di chiamarsi Giovanni. Gli sono naturalmente andata incontro, eppure per me è stato come se mi cadesse il mondo addosso. Adoro mio figlio sopra ogni cosa. Ma adesso è veramente un maschio. Il nome ha fatto una grande differenza», racconta Cornelia.

 

2018, l’anno delle nuove esperienze

Improvvisamente si è innescata una reazione a catena. Giovanni era già seguito da una psicologa. La scuola organizzò un incontro con gli insegnanti, il direttore dell’istituto, un pedagogista sessuale e la psicologa. I pedagogisti scolastici però opponevano resistenza. Ritenevano che avrebbe potuto cambiare idea e che la famiglia stesse bruciando troppo velocemente le tappe. Cornelia ricorda le parole con cui ha perorato la sua causa: «Provate a immaginarvi di dover indossare ogni giorno una camicia di forza. È questo quello che prova mio figlio. Non è libero di essere se stesso! A casa rifiorisce, fuori è costretto ad assumere un’altra identità!».

E così, prima delle vacanze di Pasqua, la direzione invitò tutti i genitori della classe a una serata informativa. «Su 24 bambini si sono presentati solo 12 genitori. La discussione è stata molto accesa. Ci sono piovute addosso ogni sorta di accuse. Che gli altri bambini avrebbero avuto bisogno ora di una terapia di sostegno oppure che forse sarebbero diventati omosessuali da grandi. Ero esterrefatta», racconta Cornelia.

 

Vita nuova

Infine la scuola radunò anche i bambini per spiegare loro la situazione in modo semplice. E cosa si scopre? Che le compagne e i compagni di Giovanni non avevano bisogno di alcun chiarimento. «La reazione dei bambini è stata toccante. Hanno detto che a loro non importava come si chiamasse, ai loro occhi era in ogni caso una buona compagna o un buon compagno di classe. E che certo, ci sono bambine che giocano a calcio e bambini che alle volte indossano volentieri i vestiti della mamma. Perché i loro genitori, al confronto, si erano dimostrati così intolleranti?» Nel quadro di un rituale i bambini hanno poi preso congedo da Anna e dato il benvenuto a Giovanni.

Poco dopo il nome Giovanni è apparso anche sui documenti. Cornelia aveva mosso mari e monti per fare in modo che Giovanni potesse partire per le imminenti vacanze autunnali con un passaporto aggiornato. Un’impresa tutt’altro che facile. Durante l’iter da un medico all’altro per raccogliere tutti i documenti necessari, la madre era entrata in contatto, su segnalazione della psicologa, con una specialista in materia di transessualità. Grazie alla sua diagnosi di disturbo dell’identità sessuale, supportata dalle conferme e dagli attestati dei diversi medici e da una lettera scritta a quattro mani da Cornelia e Giovanni, questo desiderio è diventato realtà. Prima della partenza il nuovo nome figurava sul documento, con tanto di timbro cantonale. E Anna ha potuto trascorrere le sue prime vacanze senza nascondere la sua identità sessuale: anche ufficialmente ora è Giovanni.

 

Un viaggio continuo

«Ora forse sembrerà inverosimile», prosegue Cornelia sorridendo, «ma durante la gravidanza ero assolutamente convinta che avrei dato alla luce un maschio. Anche quando i medici mi comunicarono che sarebbe stata sicuramente una femmina, la mia sensazione era in qualche modo un’altra». Eppure Cornelia, dopo aver compiuto i primi passi ufficiali, si è sentita sopraffatta dagli avvenimenti: «Ho perso mia figlia, ma ho acquistato un figlio. Ci sono dei giorni in cui tutto è difficile, la nostra vita è piena di interrogativi, ma desidero essere forte per mio figlio. A Giovanni tutto appare assolutamente logico, per me è tutto un'incognita. Finalmente ha riacquistato il sorriso, si sente libero e può vivere un’infanzia serena. Questa è la cosa più importante».

 

Il corpo e il futuro

Per il bene di Giovanni la famiglia è pronta ad affrontare ogni difficoltà. Giovanni infatti ha chiari progetti per il suo futuro: vuole prendere moglie, avere figli e diventare un chirurgo. Probabilmente non è lontano il momento in ci dovrà cominciare una terapia farmacologica per bloccare la pubertà. Gli inibitori possono essere assunti per due anni, poi si passa a una cura ormonale. Giovanni sa che potrà sottoporsi a un intervento chirurgico solo quando avrà 18 anni, il motivo di questa attesa però non gli è chiaro: è sicuro di voler essere un maschio e che non cambierà idea. Per proseguire su questa strada la madre ha ritenuto essenziale che fosse seguito fin da subito da una psicologa, che fungesse da persona di riferimento.

 

Fronte comune

La famiglia ha preso le distanze dalle persone contrarie o scettiche al riguardo. Giovanni può contare perfino sull’appoggio dei nonni, anche se ogni tanto, per sbaglio, lo chiamano ancora Anna. E la sorellina, oltre ai due mezzi fratelli maggiori, ha ora un altro fratello, anche se alle volte preferirebbe una sorella più grande. «Anche per lei è un momento difficile. Giovanni riceve naturalmente molta attenzione. Ma è solidale con il fratello e se può, lo aiuta!», riferisce con orgoglio Cornelia, che poi prosegue: «Non è sempre facile dare a Giovanni delle risposte chiare. Alle volte mi spaventa, perché vedo che si proietta già così avanti nel futuro. Se mi domanda ad esempio se un giorno potrà diventare papà, non so sempre in che modo posso spiegargli quali sono le possibilità. Di una cosa però sono certa: sarà sicuramente un ottimo padre». Cornelia, un giorno, quando si sentirà abbastanza sicura, si farà tatuare il nome di Giovanni sulla schiena, dove ora, con disappunto del figlio, c’è Anna. «Ma li avrò entrambi sempre con me. Anna, non la cancellerò mai.»

 

Una vita ordinaria tutta nuova

Giovanni, la sorellina, la mamma e gli altri membri della famiglia sanno che la via è ancora lunga e difficile. Sperano tuttavia con la loro testimonianza di infondere coraggio anche ad altri. Un invito ad aprirsi al nuovo, senza pregiudizi. «Siamo consapevoli delle difficoltà. Ma innanzi a tutto metto la felicità di mio figlio, anche se questo vuol dire confrontarsi continuamente con nuove tematiche. Magari altre famiglie che condividono il nostro destino, leggendo questo articolo, si sentiranno meno sole e un po’ più pronte ad affrontare il futuro. L’ignoto è entrato ora nella nostra vita ed è una parte inscindibile di noi. Lo affrontiamo con forza e fermezza. I bambini sono in salute e felici. Questo è ciò che conta veramente.»

*Nomi modificati dalla redazione.

 

Che cosa significa esattamente transgender?

Il termine transgender o transessuale è spesso utilizzato in modo inappropriato. Contrariamente a quando suggerisce il nome, non si riferisce alla sessualità bensì indica un disturbo dell’identità di genere. Una persona può non identificarsi con il proprio corpo, ovvero con il sesso anatomico o biologico con cui è nata. Spesso si sentono espressioni come «nato nel corpo sbagliato», oggi si parla sempre di più di transidentità. I transgender si sottopongono di frequente a un intervento chirurgico per modificare il proprio sesso biologico.